Il fantasy italiano non ha niente da invidiare a quello straniero…
... be', forse qualcosa sì. | Aprile 2024
La newsletter questo mese arriva in ritardo, un po’ perché aprile è finito senza che neanche me ne accorgessi (seriamente, dove è volato??) e un po’ perché lo scorso venerdì (il giorno in cui la newsletter sarebbe dovuta uscire) ero in viaggio verso Londra per andare alla presentazione del nuovo libro di Leigh Bardugo, nome che nel panorama fantasy internazionale non ha bisogno di presentazioni.
Alla fine è stato proprio l’incontro con zia Leigh a darmi lo spunto per questa newsletter, che sto buttando giù il giorno dopo l’evento, sul treno di ritorno verso casa, completamente esausta ma anche appagata dai miei giri per le librerie di Londra.
La riflessione parte da una frase che vedo spesso quando si parla in modo positivo di fantasy italiano, che sia in recensioni entusiaste, o in post e contenuti a sostegno delle penne nostrane: lɜ autorɜ di fantasy italiano non hanno niente da invidiare a quellɜ stranierɜ. Lo so che è un complimento, un modo per ribadire che anche noi sappiamo scrivere romanzi fantasy originali e di qualità (cosa su cui concordo), ma per qualche motivo mi è sempre suonata un po’ strana.
E dopo aver assistito alla presentazione del libro di un’autrice americana con vari bestsellers all’attivo, dopo averla sentita parlare tra le altre cose anche di scrittura e di editoria… Be', ho capito perché.
Leigh Bardugo è stata adorabile. Ha esordito con una risatina nervosa, scusandosi (tenera lei) se nel corso della serata sarebbe apparsa un po’ una weirdo, ma lei, come del resto gran parte dellɜ scrittorɜ, non è proprio a suo agio sotto ai riflettori e al pensiero di parlare davanti a così tante persone (feel you, sis). Eppure è stata una gioia da ascoltare: nonostante la sua emozione fosse palpabile, ogni aneddoto era raccontato con piglio invidiabile, le battute erano divertenti e sempre al momento giusto, non c'è mai stato un momento in cui si sia impappinata o sia rimasta a corto di parole. E lì un pensiero mi è balenato in testa, una certezza immediata: ha avuto unǝ coach. Deve aver preso lezioni da unǝ professionista, che l’ha aiutata a prepararsi al meglio e a gestire eventi simili, al pari di almeno un paio di stylist per outfit e capelli (era impeccabile, bellissima).
Quantɜ autorɜ italianɜ possono dire di avere un simile supporto per prepararsi alle presentazioni?
Andiamo avanti. Parla di scrittura, del suo processo. E poi del dietro le quinte, di quante cose siano cambiate da quando era un’esordiente con quasi zero voce in capitolo sulle scelte editoriali a oggi, quando può decidere ogni più piccolo dettaglio delle sue copertine (sia il coniglio di Hell Bent che l’inquietante scorpione sulla copertina di The Familiar li dobbiamo a lei). Parla delle ricerche fatte per il romanzo e di quanto siano state importanti, anche perché quando ha avuto l’idea, legata al passato della sua famiglia, e ha proposto il romanzo all’editore, lei non sapeva praticamente niente sull’Inquisizione Spagnola. Tranquillɜ: uno studioso esperto di quel preciso momento storico è stato ingaggiato appositamente per leggere il manoscritto e segnalare tutte le necessarie correzioni per assicurare veridicità storica.
Quantɜ autorɜ italianɜ possono dire lo stesso?
Sia chiaro, non sto accusando Leigh Bardugo di niente. Ha risorse a sua disposizione e fa bene a usarle, e comunque le risorse da sole non aiutano a saper raccontare una buona storia. Sono anche perfettamente consapevole che la sua esperienza è tutt’altro che la regola nell’editoria anglofona, soprattutto per le affollate retrovie dei cosiddetti midlist e backlist, il cui trattamento non è neanche lontanamente equiparabile a quello ricevuto da un nome bestseller; e che anche l’editoria straniera ha le sue belle magagne, le sue ineguaglianze e le sue problematiche con cui fare i conti. La terra degli arcobaleni non esiste per nessuno qua.
Però. Però. Davvero ci sentiamo di dire che lɜ autorɜ di fantasy italiano non hanno niente da invidiare a quellɜ stranierɜ? Perché io, a ben pensare, un paio di cosette le invidio eccome.
Invidio il team di minions (ora me li immagino tutti gialli e rettangolari) impiegati da Brandon Sanderson per aiutarlo con le ricerche e tenere traccia dei suoi immensi world-building. Invidio gli anticipi sostanziosi che corredano gli annunci di acquisizione su Publishers Marketplace, visto che anche solo un debutto fantasy di medio livello basterebbe a coprire il mutuo di una casa. Invidio le persone esperte su un preciso argomento che vengono retribuite apposta per controllare che tu non abbia scritto castronerie. Invidio un mercato potenziale in termini di milioni e non di migliaia (se va bene). Invidio il fatto che l'acquario sia molto più grande, le opportunità più numerose.
E penso che sia giusto dirlo perché se questo è ciò con cui noi scrittorɜ italianɜ dobbiamo reggere il confronto sugli scaffali, è un confronto destinato a finire male in partenza.
La mia non è una lamentela. Anzi, io mi ritengo molto fortunata per la mia esperienza nel mondo editoriale: i miei testi sono stati fin da subito in ottime mani, ci sono stati supporto, dialogo e un gran lavoro di cura. È solo un’osservazione sullo stato delle cose.
Certo che talento, idee e la capacità di imbastire una buona storia non ci mancano e non sono da invidiare a nessuno, così come non mancano editor che sanno fare il proprio lavoro e persone competenti nel lavoro redazionale. Ma non vedo perché negare che noi certe risorse, certi giri di soldi e di pubblico, semplicemente non ce li abbiamo. Neanche in potenziale. È così e basta. E ogni volta che neghiamo queste differenze, e la somma delle tante, piccole ma importanti cose che da dietro le quinte aiutano a spingere un romanzo straniero rispetto a un romanzo italiano, stiamo dipingendo un quadro che non esiste. Mettiamo a confronto persone che possono sostentarsi, magari più che agiatamente, con il solo lavoro di scrittura creativa con persone che la scrittura devono incastrarla in mezzo a mille altre cose necessarie per far quadrare i conti. E non significa che loro (o noi) siano migliori o peggiori, né tantomeno che alcuni romanzi siano da boicottare e/o da osannare. Significa semplicemente riconoscere che dobbiamo districarci in condizioni diverse e che operiamo in ecosistemi separati. Il confronto non dovrebbe esserci e basta.
Anzi, ogni volta che trovo un buon libro fantasy italiano, personalmente sono ancora più entusiasta e ammirata perché so che la strada, per la persona che lo ha scritto, è stata probabilmente più tortuosa rispetto a quella della sua controparte importata dagli USA che gli sta accanto sullo scaffale. E non intendo perderlo di vista.
Ci vediamo a Torino?
La prossima settimana sarò al Salone di Torino! Mi trovate in giro per gli stand giovedì 9, venerdì 10 e *forse* qualche ora di sabato 11 (*forse*, dipende da come sono messa dopo venerdì, eventi simili non sono esattamente il mio habitat naturale). Se bazzicherete intorno a stand ed eventi dedicati al fantastico è facile che mi troviate lì, ma visto che ‘in giro per gli stand’ è un concetto molto vago, se vi fa piacere scambiare due chiacchiere non esitate a scrivermi un dm, mi farà un sacco piacere.
Venerdì 10 maggio dovrei anche fare un firma copie allo stand-libreria di GeMS. Non so ancora quando di preciso, ma tenete d’occhio i miei social (aka Instagram, l’unico che ho) nei prossimi giorni per l’orario. Oppure, come sopra, resta valido il dm.
Letture, visioni, ascolti
Reader, lo devo dire: tra influenze prese a random e allergie stagionali, fisicamente questo mese sono stata uno schifo, e questo vuol dire che ho (volontariamente) letto e visto un sacco di trash (è verità risaputa che il trash aiuta a curare i malanni più delle aspirine). Quindi facciamo che su molte delle cose lette e viste quando ero in quello stato sorvoliamo, mh? Compreso quel film tanto chiacchierato tratto da un libro che inizia per F, shhh.
Per fortuna sono stata ripagata dalle letture scelte invece in momenti di più lucidità:
La campana di vetro è uno di quei classici che era nella mia reading list da anni, ma di cui ho rimandato a lungo la lettura perché temevo - ammettiamolo - un romanzo piuttosto pesantuccio. Invece ho trovato una lettura avvincente ed emozionante, che pur trattando tematiche sensibili in un modo che non è certo una passeggiata del parco riesce a farti macinare pagine a una velocità impressionante grazie a una scrittura pazzesca, affilata come un rasoio. Ci sono innegabilmente degli aspetti problematici (e cioè il razzismo, la grassofobia e la misoginia interiorizzate, in parte riconducibili al contesto dell’America bianco-borghese degli anni ‘60 e in parte al fatto che la voce narrante, Esther, è una bestia in gabbia incattivita dal mondo e sgradevole con chiunque), ma non posso negare quanto il romanzo mi abbia profondamente colpito e parlato a un livello viscerale. Raramente ho trovato rappresentazioni così dolorosamente accurate di quello che significa soffrire di salute mentale, in un modo diretto, senza filtri o patetismi, e proprio per questo più potente. La nuova edizione poi è bellissima e le illustrazioni che accompagnano la storia sono semplicemente perfette.
Passando a letture più leggere, invece, due fantasy che ho adorato. L’ora dei dannati. La Montagna è il secondo volume della trilogia di Luca Tarenzi ispirata alla Divina Commedia. Il primo libro mi era piaciuto molto e il secondo non delude. Anzi, mi è piaciuto anche di più. Riconferma le grandi immaginazione e conoscenza del materiale originale che ci sono dietro, e in più aggiunge diversi personaggi femminili che subito rubano la scena (ciao, Francesca). Amo poi tutta la vibe da ‘fuck the system’, sempre più forte man mano che procede la storia. Devo mettere le mani sul terzo al più presto.
L’altro fantasy, invece, è Voyage of the Damned, un murder mystery dai toni comedy che mi ha piacevolmente intrattenuto: non solo ha un protagonista grasso e queer (fuck yeah), ma la premessa di dodici reggenti di un mondo fantasy che si odiano tra loro, rinchiusɜ per dodici giorni su una nave dove inizia a morire gente, è stata da sola una boccata d’aria fresca. Carinissimo.
Ho iniziato a guardare Killing Eve e le prime puntate sono top. Me ne pentirò, visto le opinioni che ho visto circolare sul finale?
Ah, e ovviamente sono anche io dentro al tunnel swiftiano di The Tortured Poets Department. Mi ci è voluto un po’ per assorbirlo, ma adesso più lo ascolto più scopro nuove sfumature, nuovi significati, nuovi testi che mi colpiscono. Amo soprattutto Who's afraid of little old me?, ma onestamente scegliere è davvero tosto.
Ma le newsletter sulle idee?
Vi avevo promesso una serie di post dedicati al tema delle idee: trovarle, svilupparle, concretizzarle. Non me ne sono dimenticata, ma mi piacerebbe far uscire i 3 post in modo ravvicinato, diciamo uno a settimana, e separato dalla newsletter mensile.
Per questo motivo preferisco finire di scriverli tutti prima di iniziare a pubblicarli (percentuale di completamento attuale: 60%). In più devo ancora capire quali sono le tre settimane prescelte in cui spalmarli, visto che maggio e giugno per me si prospettano mesi belli carichi. So che così rischio di ‘perdere’ l’interesse che si era creato dopo la newsletter del mese scorso, ma sapete cosa? Se vogliamo che internet torni a essere un posto dove trovare anche contenuti più approfonditi rispetto a video clickbait tutti uguali di 15 secondi, riconoscere che alcune cose richiedono tempo è un ottimo punto da cui partire (lo dico per me stessa in primis). Chiedo un po’ di pazienza. Prometto che arrivo 🩶
È tutto? È tutto. Se ti va di lasciare un cuoricino o ricondividere, lo apprezzo. Se vuoi commentare o scambiare due chiacchiere, mi fa sempre piacere.
Ci vediamo a Torino? E tu, davvero non hai mai invidiato niente allɜ autorɜ stranierɜ?
-Vale ✨
Sono d'accordo su tutto.
Come dici tu, quando in Italia si dice "gli autori italiani non hanno niente da invidiare a quelli esteri" ovviamente si intende a livello di capacità, non di risorse o possibilità.
Su questo punto, abbiamo tutto da invidiare ahaha visto che non c'è competizione. Loro sono scrittori di professione, noi, eccetto casi particolari, non lo do diventeremo mai. Ahimè
Mi chiedo soltanto: a parità di risorse, possibilità e quant'altro, i più bravi di noi, cosa sarebbero in grado di tirare fuori?
Non voglio dire che siamo migliori, ma rispetto a loro ci formiamo nel fango, tra mille difficoltà, compromessi. Chissà tutto questo, in una situazione come la loro, dove ci porterebbe. Potrebbe essere uno spunto di riflessione