Come trovare la 'giusta' storia... oppure no
Detto anche: magari la 'giusta' storia non esiste, e devo smetterla di pensare a cosa 'dovrei' scrivere
Secondo i piani originali, la newsletter di novembre avrebbe dovuto parlare d’altro; ma l’altro è un argomento per cui ci sarà tempo anche in futuro, mentre di questa riflessione, oggi, tra un sorso di tè verde giapponese e un morso di cinnamon roll, ne avevo particolarmente bisogno.
Il mio ultimo libro, Di Spiriti e Polvere, è uscito neanche un mese fa, concludendo così una storia che, tra vari alti e bassi, mi sono portata dietro per quasi 10 anni. Per quanto io sia felicissima del traguardo, adesso che il momento più frenetico dell’uscita è passato, mi ritrovo a fare i conti con una sensazione che non mi sarei mai aspettata di provare: un bizzarro senso di smarrimento.
Il primo pensiero, infatti, è stato: e adesso? Devo assolutamente sbrigarmi, al più presto, a scrivere un nuovo romanzo.
Lo so, cosa verrebbe da rispondere: “Ma l’ultimo libro è uscito da tre settimane! Hai tempo.” Io ridacchio, più nervosa che divertita. Una cosa che chi scrive sa è che il tempo è tiranno, e il mercato ancora di più: entrambi corrono, non ti aspettano e certo non si piegano al tuo volere.
E poi, il tempo l’ho avuto. Ho avuto due anni, tra la stesura di ‘Spiriti’ e la sua pubblicazione — due anni per scrivere altro, due anni per prepararmi a questo momento. E mi sono comunque fatta cogliere impreparata.
Non sono stata con le mani in mano. Ho abbozzato scene, premesse, personaggi. Ho scritto i primi cinque capitoli di almeno tre diversi, nuovi, potenziali romanzi. Li ho messi da parte. Ho scritto un racconto. Ho preso uno di quei romanzi potenziali e ne ho migliorato le fondamenta fino a trovare una storia che mi intrigasse scrivere. Mi sono fermata e l’ho messa da parte, pensando che fosse un’idea stupida. Ho iniziato due nuovi racconti, e non li ho mai conclusi. Ho ripreso in mano una vecchia idea, ci ho lavorato per un po’ e poi ho messo da parte pure quella.
Riuscite a cogliere il pattern? L’abbondanza di idee e la voglia di scrivere non significano necessariamente anche abbondanza di produttività. L’ostacolo più grande è sempre lo stesso: il dubbio, la paura. Paura che quel romanzo non sia una buona idea. Paura di non esserne in grado. Paura che non abbia mercato. Paura che sia troppo sciocco, paura che… Potrei andare avanti all’infinito.
È questa la famigerata sindrome da nuovo libro? Forse. Ma al di là della paura, che è parte integrante del processo creativo, a frenarmi è stato qualcos’altro: una domanda ossessiva, ancora più subdola e più infida. Qual è la storia giusta, per ciò che viene dopo? Cosa dovrei scrivere? Per non deludere lɜ lettorɜ a cui magari i primi romanzi sono piaciuti. Per trovare un mercato. Per sentir dire: “Ha scritto un bel libro”.
Questa domanda mi ha assolutamente devastato.
A venire in mio soccorso è stato uno dei miei libri di scrittura preferiti, Never say you can't survive, di Charlie Jane Anders. È un saggio pieno di perle, ed è un vero un peccato che non sia (ancora) stato tradotto in italiano. Un giorno, mentre lo sfogliavo in cerca di ispirazione, l’occhio mi cade su uno dei passaggi che mi ero segnata (traduzione mia):
“Voglio soffermarmi ancora un po’ sull’idea del cosa “dovresti” scrivere, perché è un concetto del tutto inutile. Forse nasce dal sentirsi obbligati a parlare di temi particolarmente attuali, come è capitato a me dopo l’11 settembre, o forse dalla sindrome dell’impostore e dalla sensazione che le tue storie non abbiano valore. O forse semplicemente vorresti davvero, davvero, essere “preso sul serio", o avere un successo mainstream. Qualunque sia il motivo, se permetti che tutte queste aspettative, reali o immaginarie che siano, ti impediscano di scrivere quello che davvero ti attrae, hai già perso qualcosa di incredibilmente prezioso.
La domanda mi stava devastando perché era la domanda sbagliata.
“Cosa dovrei scrivere” è paralizzante. Ma “cosa vorrei scrivere” spalanca scenari.
Sono tornata alla storia che più mi intrigava. Ho preso atto del fatto che, secondo molte logiche, è probabilmente quella più “sbagliata” a cui dedicarmi. Non è lo stesso sottogenere fantasy in cui ho già pubblicato. Il tono è diverso. È un’altra saga (sigh) - minimo una dilogia, se va ancora peggio una trilogia. Non rientra tra i trend al momento più in voga. La protagonista è insolita. La trama è un casino. Il world-building non ne parliamo. Eppure… Eppure.
L’idea di dedicarci mesi, se non anni, mi spaventa da morire. Forse, però, sono semplicemente arrivata al punto in cui la paralisi data dai dubbi e dalle incertezze degli ultimi due anni, insieme all’idea di vedere sprecato qualcosa che mi entusiasma, mi spaventa ancora di più. E poi, è una storia che mi fa stare bene. Alla fine, non è questa l’unica cosa che conta? Scrivere quello che ci fa stare bene, e scriverlo per quellɜ lettorɜ che, una volta finita la storia, ne avranno bisogno per stare bene anche loro.
Penso a Gaiman e a un aneddoto che racconta nella raccolta di saggi Questa non è la mia faccia, quando a un giornalista rimasto perplesso da Stardust rispose:
“A cosa serve?” mi aveva chiesto, una domanda che non ti aspetti di sentirti fare, se sei uno che scrive romanzi per vivere.
“È una fiaba” gli dissi. “È come un gelato. Serve a farti sentire felice quando lo hai finito.”
Notizie dalla scrivania
Come credo sia chiaro dalla sezione qua sopra, la scrivania al momento è nel vortice caotico di un nuovo romanzo ancora agli inizi, ma il mio cuore è anche colmo dell’affetto che avete dato a Di Cenere e Ombra e a Di Spiriti e Polvere in queste ultime settimane.
Credetemi, esigo sempre talmente tanto da me stessa da non essere mai stata brava a celebrare queste cose; ma le vostre parole mi hanno talmente commosso che mi perdonerete se, stavolta, dedico la sezione a un po’ di questo affetto.
Di Cenere e Ombra mi aveva catturata con le sue atmosfere cupe e con i suoi personaggi dalle mille sfaccettature, ma Di Spiriti e Polvere mi ha totalmente rubato l’anima. L’espansione del worldbuilding e l’introduzione di nuovi personaggi sono stati la ciliegina sulla torta, ma il trope della Found family è stato il vero protagonista e motore di questa storia: la famiglia che conta è quella che scegliamo e che decidiamo di proteggere ad ogni costo. (legamidicarta)
Anche lo stile dell’autrice si adegua al nuovo aspetto del romanzo e si fa più intimo, più graffiante e soprattutto capace di tenere le fila di tutte queste storie senza mai perdersi. Ci sono tanti fili da giostrare da quando gli eventi sono usciti al di fuori del Regno e le singole storie hanno fatto un passo avanti e occupato il posto che meritano. Eppure Valentina Pinzuti non tentenna mai e la storia, molto più complessa, più vasta, e dalle mille sfaccettature, non annoia e non confonde il lettore che invece si ritrova di nuovo immerso nelle contraddizioni di un mondo crudele, ingannevole, pronto a sacrificare troppo per avere così poco. Una storia di amore, di onore, di perdono, di vendetta, di giustizia, dove la famiglia, il gruppo, diviene il fulcro delle azioni. (inchiostroeparole)
Di Cenere e Ombra si dimostra un dark fantasy validissimo, con capitoli brevi, pov alternati, uno sviluppo romance slow burn e un cliffhanger finale che, fortunatamente, non vi farà venire voglia di urlare. I suoi personaggi sono accattivanti. E la prosa è tanto accurata e immersiva da permettervi d’immaginare vividamente ogni quartieraccio, ogni scena. (ayumu_books)
Si, si si, e ancora si! Un fantasy Italiano di tutto rispetto! Mi è piaciuto tutto di questo libro. Personaggi, caratterizzazione, ambientazioni, i temi trattati, qualsiasi cosa. Per non parlare della scrittura, di una scorrevolezza impressionante. Sapete che non appena mi ritrovo davanti ad un libro da cinque stelle su cinque devo urlarlo al mondo! E fidatevi se vi dico che questa saga composta da due libri merita tutto la vostra attenzione e il vostro tempo. (parol.escritte)
“I Discendenti” è come una scatola in cui all’interno trovi un’altra scatola che ne contiene un’altra e un’altra ancora. E senti che ci sono altre scatole nascoste che non puoi aprire ma che ci sono. Infatti, sebbene le vicende siano ambientate nella sola città di Eidinn (e un po’ nel territorio di Oskal), si percepisce che c’è molto altro. (robylegge)
Una dilogia da cui farete fatica a staccarvi, protagonisti vividi dalle mille sfaccettature e un worldbuilding originale per una storia carica di elettricità ad ogni pagina. A chi consiglio questa lettura? Ai lettori affezionati alla penna di Leigh Bardugo alla quale Valentina Pinzuti non ha nulla da invidiare. (federicaadegiglio)
Infine perché la penna di Valentina è qualcosa di magico. Davvero, vorrei potervi spiegare con quanta facilità sembrano uscirle ogni frase e ogni immagine. So che non è così, so che dietro c'è tanto lavoro, ma quando una persona che scrive riesce a farvi vivere la sua storia in modo così intenso senza far percepire il meccanismo che c'è dietro… beh, è proprio magia. (donniescrive)
Letture, visioni, ascolti
L’inizio di novembre mi ha mandato in modalità goblin, ma almeno ne ho approfittato per dedicarmi a leggere, scrivere e, in generale, “ricaricare il pozzo”.
Sul fronte libri, di recente ne ho letti due bellissimi. Uno è Il tredicesimo nume, di Giorgia D’Aversa, un dark fantasy italiano con un’ambientazione ispirata al mondo antico che mi ha conquistato per la caratterizzazione delle due protagoniste, un finale non scontato e le sue atmosfere cupe come un temporale estivo. L’altro è Membrana, di Chi Ta-wei, tradotto dal cinese da Alessandra Pezza: una riflessione toccante sul tema della memoria e dell’identità, che stupisce per l’attualità delle tematiche trattate nonostante sia stato scritto quasi vent’anni fa, nel 1995. Al momento, invece, sto centellinando The Fragile Threads of Power, di V.E. Schwab, che continua a dimostrarsi una narratrice eccezionale, capace di tessere trame pazienti e inventare mondi pieni di magia.
Sono poi riuscita finalmente a vedere Guardians of the Galaxy 3, e ovviamente ho pianto dall’inizio alla fine come una vite tagliata. Il film mi ha anche ricordato perché il trope della found family è così amato, come mai è così potente: perché ti fa sapere che non importa quanto ti senti fuori posto e quanti errori e cadute hai avuto nel tuo percorso, le famiglie ‘scelte’ sono sempre pronte a dare una seconda possibilità e ad accogliere chi ne ha bisogno. Nei giorni tra Samhain e l’inizio del mese, invece, ho divorato La caduta della casa degli Usher, serie cinematograficamente e tematicamente pazzesca che mi ha fatto venire una voglia tremenda di rileggere tutto Edgar Allan Poe, per tipo la quinta volta. Ho finito anche la terza stagione di Only murders in the building, una serie che si conferma una delizia, uno di quei mix strampalati che sulla carta non dovrebbero funzionare eppure lo fanno, con gioia. Adesso invece non vedo l’ora di tornare dai miei pirati queer e buttarmi sulla nuova stagione di Our flags mean death.
Infine, come probabilmente mezzo mondo, avevo l’uscita di 1989 TV segnata sul calendario e l’ho ascoltato on repeat per giorni (facciamo pure settimane). Nell’anima però resto sempre una folklore / evermore girlie, perciò mentirei se non dicessi che anche this is me trying è stata una presenza fissa nelle mie playlist, forse perché taglia particolarmente a fondo in questo periodo (voglio dire: perfection), insieme a ivy che continua a solleticarmi l’ispirazione...
Ma è un’ispirazione di cui, magari, parleremo un’altra volta 😉
Se volete lasciare un cuoricino o un commento, o in generale scambiare due chiacchiere, per me è sempre un piacere. Un saluto goblinoso.
✨ -Vale
La sindrome del secondo libro (o del terzo) è un casino. Ti mando tanti abbracci e biscotti, ti capisco molto bene!
Penso che siano le storie a trovarci, e che, come autori, non dovremmo mai sentirci vincolati a un genere specifico, se non è ciò che vogliamo. Questo perché, prima di tutto come persone, abbiamo lati molto diversi tra loro, e non è detto che ciò che per noi funziona a vent'anni, funzionerà anche a trenta o quaranta. Immagino che tu sia una persona complessa, come tutti, per cui non metterti limiti ed esplora ciò che ti piace di più, ciò che ti fa battere il cuore nel bene e nel male.